Prossimi eventi

  • Non ci sono eventi (per ora...)

Prossimi eventi

<< Set 2022 >>
lmmgvsd
29 30 31 1 2 3 4
5 6 7 8 9 10 11
12 13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29 30 1 2

Archivio post

Truffa sull’acqua non potabile ad Aquileia

Aquileia, due fratelli condannati per avere venduto una casa senza dire che per bere servivano i filtri

di Luana de Francisco

AQUILEIA. Il problema esiste e nei paesi della Bassa friulana sono in molti a saperlo. Ma questo non basta a ritenerlo un dato scontato. Nè, tanto meno, a prendersi la libertà di ometterne l’indicazione in un atto ufficiale. E invece è quanto hanno ritenuto di poter fare due fratelli di Bagnaria Arsa, nel momento in cui hanno venduto, e in parte affittato, un immobile di loro proprietà ad Aquileia: nei rispettivi contratti, hanno omesso di precisare come l’acqua che usciva dai rubinetti di entrambe le abitazioni fosse inquinata. Finiti a processo, sono stati recentemente condannati dal tribunale di Udine per concorso in truffa.

La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Angelica Di Silvestre. A Felice Labella, 45 anni, sono stati inflitti 8 mesi di reclusione e 300 euro di multa, mentre per sua sorella Antonietta, 42 anni, la sola chiamata a rispondere anche della truffa sul contratto di locazione, la pena è stata aumentata con la continuazione a 9 mesi e 350 euro, sospesa però con il beneficio della condizionale. Nel calcolare la pena, il giudice ha ritenuto non concedibili le attenuanti generiche «in ragione della pericolosità della loro condotta, che ha inciso sulla salute delle persone».

Il pm onorario Marzia Gaspardis aveva concluso per la condanna rispettivamente a 9 mesi e 900 euro e a 1 anno e 700 euro. Soddisfatta anche la richiesta dei legali di parte civile, avvocati Giovanni Stellato ed Elisa Marta Mereu (sostituita per la discussione dalla collega Ingrid Pontello), che avevano sollecitato il risarcimento dei danni, materiali e morali, alla coppia di acquirenti e al loro figlio. La liquidazione sarà stabilita in separato giudizio. La difesa, rappresentata dagli avvocati Maria Genovese e Giuseppe Romano, aveva concluso per l’assoluzione.

La vicenda era maturata in un contesto già di per sè critico. Ad Aquileia, così come a Fiumicello e Cervignano, il ricorso ai pozzi artesiani espone gli abitanti al rischio di utilizzare acqua, anche a scopo potabile, caratterizzata dalla presenza di desetilatrazina in concentrazioni superiori ai limiti consentiti. Un problema, certo, ma che la popolazione risolve adottando appositi filtri. Ai fratelli Labella è stato contestato di non avere informato di tale prescrizione (prevista nel certificato di abitabilità emesso dal Comune di Aquileia nel 2004) i coniugi che, nel 2009, acquistarono un loro immobile in piazza San Giovanni. E altrettanto fece la sola Antonietta l’anno successivo, sottoscrivendo un contratto di locazione con il figlio della coppia. La verità emerse soltanto nel 2013, quando a quest’ultimo fu chiesto di firmare un contratto sostitutivo e uguale a quello concluso con un’altra inquilina del piano terra. Leggendolo, il giovane si accorse come fosse stato evidenziato che l’acqua non era potabile. Da qui la denuncia.

Un caso lampante di «truffa contrattuale», secondo il giudice Di Silvestre, «realizzato tacendo una circostanza essenziale per la formazione della libera volontà contrattuale». Perchè in situazioni del genere, «anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione, integra l’elemento del raggiro».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

30 giugno 2016

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine