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«Qui ad Aquileia ci sono le radici del vostro Friuli»

L’archeologia vista dallo scrittore Manfredi Stasera l’appuntamento di Film festival

di Elisa Michellut

AQUILEIA. Ogni piccolo centro è un piccolo miracolo. Questo pensa (anche di Aquileia) Valerio Massimo Manfredi, scrittore, conduttore televisivo e autore di romanzi tradotti in tutto il mondo, tra cui la famosa trilogia “Aléxandros”, edita da Mondadori, che oggi alle 21 sarà l’ospite d’eccezione della serata finale dell’Aquileia film festival, evento organizzato dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con la rassegna internazionale del cinema archeologico di Rovereto e Archeologia viva. Manfredi “racconterà” al pubblico le pagine più importanti della storia. Lo abbiamo incontrato, a poche ore dal suo arrivo nella città romana.

Professor Manfredi, la Fondazione Aquileia, tramite il progetto Archeologia ferita, sta cercando con la cultura di rafforzare i rapporti con diversi Paesi. Che importanza ha la diplomazia culturale?

«La cultura è fondamentale perché nutre la mente, la parte più preziosa dell’essere umano. È chiaro che non tutti sono sensibili al messaggio culturale, molti sono refrattari. La cultura è importante se creiamo le premesse tramite le quali la gente possa recepirla».

Ritiene che in un mondo sempre più globalizzato e indifferente il pubblico abbia ancora “fame” di cultura?

«L’Italia è uno dei pochi Paesi che riesce e riempire le piazze con un Festival della filosofia o con un Festival della matematica o anche con un Film festival come quello di Aquileia. Significa che una sensibilità c’è. Il nostro è un Paese straordinario, ci sono piazze che diventano giganteschi salotti e che ospitano manifestazioni eccezionali. Ogni piccolo centro è un piccolo miracolo».

Non è la prima volta che visita la città romana? Ad Aquileia torna sempre volentieri.

«Questa cittadina è splendida. Vive sui resti romani e ha una basilica paleocristiana che ospita un grande e meraviglioso mosaico pavimentale. Aquileia ha un significato particolare, pensiamo al Patriarcato e all’eredità medievale. L’archeologia ci mette in contatto con le nostre radici. In Emilia basta scavare da qualsiasi parte per veder riaffiorare le mattonelle esagonali che pavimentavano le case dei nostri antenati».

In passato ha già ambientato uno dei suoi romanzi storici, “L’ultima Legione”, edito nel 2002, ad Aquileia. In futuro potrebbe decidere di farlo nuovamente?

«Luoghi come Aquileia ti danno la sensazione fisica di chi sei e da dove vieni. C’è una parte importante del romanzo che è ambientata proprio ad Aquileia. A ogni modo, ritengo che l’ambientazione di un romanzo sia secondaria. Quello che conta è avere una storia da raccontare».

I suoi romanzi e le sue trasmissioni hanno sempre riscosso grande successo. Come si fa a entrare nel cuore dei lettori e del pubblico televisivo?

«Per quanto riguarda la narrativa è importante la capacità di creare trame affascinanti e trasmettere ai lettori emozioni profonde, costruire personaggi carismatici e anche credibili. Ovviamente è necessario scrivere in modo elegante e con una certa forza. In tv gli scenari hanno sicuramente il loro fascino ma è indispensabile poter contare su un bravo autore».

Lei è anche un archeologo e uno studioso di antichità. Che significato ha studiare queste discipline in un momento storico in cui, purtroppo, è diffusa l’idea dell’inutilità nei confronti della scienza del passato?

«Il nostro presente è sempre più sottile e sfuggente. Il passato, invece, sta fermo. Le manifestazioni delle culture estinte si prestano a essere capite e studiate. Possono essere un pilastro, un punto di riferimento per un presente sempre più frustrante. Seneca o Tacito non solo obsoleti. La capacità di capire le civiltà estinte ci permette di guardare al futuro con la speranza di non commettere gli stessi errori o di non seguire lo stesso triste destino. Perdere questo patrimonio sarebbe terribile».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

29 luglio 2016

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