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    Serracchiani boccia il voto anticipato

    La presidente del Fvg e numero 2 del Pd: resteremo fino al 2018. Il monito alla minoranza: basta coi congressi permanenti

    di Anna Buttazzoni

    TRIESTE. Al Pd, soprattutto alla minoranza del Pd, viene chiesta lealtà. Perché l’obiettivo è fare le riforme. «Non ci saranno elezioni anticipate e non ci sarà un congresso permanente. Ci si metta il cuore in pace e si lavori per le riforme».

    Il giorno dopo l’Assemblea democratica la numero due del partito, Debora Serracchiani, è netta. Chi governa ha il dovere di prendere decisioni e di lavorare per cambiare verso al Paese. Il refrain è sempre lo stesso. E sono ancora il premier-leader di partito, Matteo Renzi, e il suo giro stretto a schivare gli ostacoli, ad avere la meglio, a rendere ovattati i dissensi.

    Renzi farà il segretario del Pd fino al 2017 e il premier fino al 2018. Spazi, ne è sicura Serracchiani, non ce ne sono. Il 2018 è anche la scadenza del suo mandato alla guida della Regione. E dunque quel traguardo annulla le voci di una partenza della presidente in caso di elezioni anticipate.

    «L’Assemblea – indica il vice segretario dem – è stata l’occasione per il bilancio del primo anno di segreteria e di quasi un anno di governo. Un bilancio nel quale per la prima volta è stato messo al centro il Paese, il Paese del made in Italy, protagonista in Europa e che sa raccontare gli elementi positivi di sè. Dopo anni la politica si è riappropriata del suo ruolo invece di lasciar spazio ai tecnici. Il lavoro che abbiamo impostato, insomma, è importante e per questo la richiesta che è venuta dall’Assemblea è di lealtà al partito, perché il rapporto si è un po’ incrinato».

    Serracchiani ripete che il Pd non può essere il partito nel quale la minoranza pur di lanciare segnali alla maggioranza mette a rischio riforme fondamentali, come quella costituzionale. Non si accetteranno, insomma, diktat dalla minoranza.

    «Renzi non vuole assolutamente andare a elezioni anticipate. Farà il segretario del Pd fino al 2017 e il premier fino al 2018 perché non si sente la necessità nè di nuove elezioni nè, come qualcuno vorrebbe, di un altro presidente del Consiglio».

    Qualcuno scalpita? L’esempio dell’insofferenza dem è ancora Stefano Fassina? «Mi è parso abbia espresso soprattutto una sofferenza personale», dice il vice segretario Pd. E la scissione? Ostacolo dribblato.

    «Non è mai stata sul tavolo, non ci sono le condizioni perché – spiega Serracchiani – in questo anno abbiamo lavorato per l’inclusione». Serracchiani guarda i risultati e insiste con la richiesta di lealtà al partito. Pancia a terra. Cuore in pace. «E si lavori per le riforme», ripete la numero due democratica.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

    16 dicembre 2014

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