andrea zannini (*)
Gentile assessora Gibelli,
mi permetto di scriverle questa lettera aperta dopo aver letto la sua intervista a “Il Piccolo” di qualche giorno fa, nella quale annuncia che i progetti culturali finanziati dalla Regione per il 2019 dovranno “tenere conto” di una specifica tematica: Leonardo da Vinci, di cui ricorre il 500° della morte, e che pare sia stato una volta sull’Isonzo.
Alla domanda del giornalista, che le chiedeva come faranno le associazioni e istituzioni culturali regionali che si occupano, ad esempio, di Resistenza o Grande Guerra, lei ha risposto che potranno studiare “le macchine da guerra o l’umanesimo in Leonardo”. D’altronde, ha aggiunto, “dubito che si possano dire cose nuove su Resistenza e Prima guerra”.
Poiché sono anche io, come lei, uno che viene “da fuori” (sono venuto dal Veneto vent’anni fa a lavorare all’Università di Udine), mi permetto di riassumere alcune cose sulla storia di questa regione, scusandomi in anticipo se le sembrerò un po’ professorale.
È difficile capire la tarda antichità europea, e la fine del mondo antico, senza considerare Aquileia, centro di irradiazione del primo cristianesimo, e Cividale del Friuli, prima capitale dei Longobardi.
Il Patriarcato di Aquileia (XI-XV secolo) costituì un’istituzione particolarissima senza la quale è impossibile comprendere i rapporti tra Italia e Centro Europa. E la Patria del Friuli, che passò dopo di allora sotto la Serenissima, è una delle regioni storiche più antiche d’Italia: ha un territorio, una lingua, delle tradizioni e forme culturali assolutamente originali e preziose.
Attorno a questa regione, sotto domini diversi, i territori di Trieste, Gorizia e Gradisca, e Pordenone mantennero per secoli cultura e tradizioni italiane, testimoniando in maniera assolutamente originale il travaglio della nascita dello Stato moderno europeo.
L’idea di nazione ebbe qui, tra Otto e Novecento, una realizzazione peculiare.
A fine Ottocento e per lunga parte del secolo seguente la storia di Trieste è stata al tempo stesso unica ma esemplare del concetto di confine nella cultura e nella politica. Tutto il senso e l’immaginario del vocabolo “Mitteleuropa” è inconcepibile senza la straordinaria vicenda culturale e umana di Trieste e di Gorizia, al crocevia tra mondo slavo, tedesco, ebraico e italiano.
Nella Prima guerra mondiale fu qui il fronte principale del nostro conflitto, tanto che Udine era la sede dello Stato maggiore italiano e la parola “Caporetto” è diventata un sostantivo della nostra lingua. Nella Seconda guerra mondiale la nostra regione, inglobata nel Reich, è stata sede di vicende tragiche e drammatiche: dal campo di sterminio di San Sabba, a Porzus, alla straordinaria vicenda della Resistenza, che ebbe nella Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli una delle sue più alte realizzazioni.
Senza considerare il dopoguerra in Friuli Venezia Giulia è difficile capire la storia dell’Italia repubblicana: si pensi alle vicende del confine italo-jugoslavo, all’esodo dei profughi dalmati e istriani, alla faticosa transizione di Trieste, per arrivare alla nascita difficile dell’istituzione regionale, alla strage di Peteano, al terremoto del Friuli.
Su questi duemila anni di storia lavorano da sempre gli studiosi di questa regione, in una rete di istituzioni culturali che fanno di questa terra uno dei posti in Italia dove si legge di più e dove l’interesse per la storia è più alto.
Con un passato del genere, che lega il Friuli Venezia Giulia ai fili di tutta la storia d’Europa, lei vorrebbe, gentile assessora, che ci mettessimo tutti quanti a studiare le geniali ma, queste sì, studiatissime macchine da guerra di Leonardo?
Spero di avere l’occasione di incontrarla per confrontarmi con lei: nell’attesa la ringrazio per l’attenzione e la saluto con viva cordialità.—
(*) Professore ordinario di Storia moderna all’Università di Udine
25 agosto 2018
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