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Quelle lettere degli italiani sulla bara del milite ignoto: pietà e racconto collettivo

Va in scena il testo teatrale del cantautore Bubola Ad Aquileia Maria Bergamas scelse tra undici feretri di Massimo Bubola

Domani, alle 21. 30 al Capitol, Pnlegge presenterà la “Ballata senza nome” di Massimo Bubola: un evento scenico tratto dal libro del cantautore che ha vinto il premio Benedetto Croce, che ci riporta all’ottobre 1921, nella basilica di Aquileia. Gli occhi di tutti sono rivolti alle undici bare al centro della navata, e alla donna che le fronteggia: Maria Bergamas. Dovrà scegliere, fra gli undici feretri, quello che verrà tumulato a Roma, nel monumento al Milite Ignoto. 

Massimo Bubola

«Ti regalerò un bosco di pioppi sul fiume Adige. Ti donerò le mie trecce piene di sogni. Ti offrirò un letto di piume sotto i meli. Ti darò una boccetta di lacrime mattutine e una di rosolio per la sera. Questo è il maglione caldo di mio fratello Genesio che ti salvi dal freddo del marmo. Ti cedo questa cartolina di mio marito caduto che mi ha disegnato il castello di Duino. Cederò ogni anno metà del mio vino, perché bevano tutti al tuo ricordo. Ti lascio il medaglione con la mia pallida bambina “scomparita” nel frumento. Ti dedicherò la prossima città che fonderò in Paraguay».

Queste erano una piccola parte delle lettere e degli oggetti che furono gettati su uno dei carri vuoti del treno che trasportava la bara del milite ignoto ch’era partito il mattino del 29 di ottobre del 1921 dalla stazione di Aquileia e che sarebbe arrivato a Roma la sera del primo novembre. All’arrivo occorsero ben venticinque camion e una trentina di trattori d’artiglieria per trasportar i fiori e gli oggetti che vi eran stati deposti.

Rivedendo quel treno che a passo d’uomo attraversava le campagne e le colline del Friuli, del Veneto, dell’Emilia, della Toscana e del Lazio e che raccolse intorno a sé otto milioni di persone che andarono a piedi a salutarlo, ci appare un’Italia contadina, profondamente mortificata e scioccata dalla più dura guerra che avesse mai visto, ma unita sul quel ragazzo senza nome. Un paese ancora ferito, ma avvolto in una lunga e lacera coperta di Pietà per quel soldato che rappresentava per ognuno il padre, il marito, il figlio, il fratello perduto.

Il viaggio di quel treno correva su un affresco di Misericordia tra la commossa partecipazione di una nazione che s’era formata da poco e da poco cominciava ad avere un unico cuore ed un unico sentire. La Grande Guerra era finita da tre anni, ma quell’incantato fiume di parole creato da quattro miliardi di lettere scritte durante il conflitto, rappresentava il primo vero epos italiano: uno sconfinato e toccante documento di racconto collettivo. –

20 settembre 2018

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