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Quando Roma comandava il mondo da Belgrado e Niš

Fino al 3 giugno palazzo Meizlik di Aquileia ospita decine di capolavori provenienti dalla Serbia

di DONATELLA TRETJAK

Se vi dovessero chiedere di elencare le province dell’impero romano a Ovest, rispondereste Hispania, Lusitania, Britannia, e magari la Gallia di Asterix e Obelix. Ma se la domanda fosse a specchio, del tipo “citate le province a Est”, cosa riuscireste a tirar fuori dalla vostra memoria scolastica? La Dacia, ok. E l’Illirico, la Serbia di oggi, c’è o non c’è? C’è, eccome se c’è. Qui sono nati 17 (o 18) imperatori romani, da Ostiliano a Costanzo III, un quinto del totale. Uno di loro è Costantino, l’uomo della legittimazione del cristianesimo. Era di Niš. Poi c’è Aureliano, sì, quello della cinta muraria attorno a Roma. Era nato a Sremska Mitrovica. Non proprio mezze calzette.

Sremska Mitrovica (Sirmium), Kostolac (Viminacium), Belgrado (Singidunum) e Gamzigrad (Felix Romuliana): sono soltanto alcuni dei siti archeologici che documentano la presenza dell’antica Roma in Serbia. Ora, seicento anni di storia dell’Illirico sono raccolti nella mostra “Tesori e imperatori. Lo splendore della Serbia romana” ad Aquileia, a palazzo Meizlik (accanto alla basilica), organizzata da Fondazione Aquileia, Museo nazionale di Belgrado e Soprintendenza archeologica del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Polo museale regionale, il Comune di Aquileia e l’Associazione nazionale per Aquileia. Sessantadue – splendidi – reperti provenienti dal Museo nazionale di Belgrado, dal Museo nazionale di Zaječar e di Niš, e dai Musei di Požarevac, Novi Sad, Sremska Mitrovica e Negotin, oltre a un calco storico della Colonna traiana prestato dal Museo della civiltà romana di Roma, ci riportano sulle tracce della storia dell’impero romano, dalla sua espansione a Oriente fino al suo crepuscolo, quando il confine non resse più all’invasione dei barbari, gli stessi Unni guidati da Attila che tre mesi dopo metteranno a ferro e fuoco Aquileia.

«Parlare della Serbia romana può sorprendere, eppure tra il III e V secolo d. C. quella fu terra di eventi cruciali (la campagna di Traiano per la conquista della Dacia, l’ascesa al potere di Diocleziano e di Costantino…), luogo di battaglie, fortificazioni, legionari, imperatori, lussuose residenze, prosperi quartieri urbani, commerci fiorenti, luogo di convivenza e di culture» racconta Cristiano Tiussi, direttore della Fondazione Aquileia nonché curatore della mostra. Il perché è merito di un fiume, il Danubio, una via d’acqua che non era solo linea di frontiera sottoposta continuamente alle pressioni delle genti barbariche (il che spiega anche perché molti imperatori siano nati in questa regione), ma confine permeabile agli scambi e alle influenze.

Proprio al Danubio è dedicata la prima sala. Poco a sud di Belgrado, il fiume s’incunea nello splendido scenario delle Porte di ferro. Gole a picco e corso tortuoso. Posizione ideale per i romani per sferrare l’attacco ai fastidiosi Daci. Tutto ciò è impossibile senza un ponte, di legno però, di cui resta un solitario pilone in pietra. «Abbiamo voluto iniziare descrivendo un ponte perché questa è la nostra parola chiave: intendiamo, cioè, gettare un ponte con la Serbia per rafforzare il senso stesso di Europa». Ma sarebbe ingiusto ridurre gli autentici tesori di palazzo Meizlik a una semplice vetrina in vista dell’ingresso di Belgrado nella Ue. Non è solo questo: Aquileia – la seconda città dell’Italia settentrionale per importanza dopo Milano, capitale dell’impero d’Occidente dopo la riforma di Diocleziano (286 d. C.) -, città anch’essa di frontiera per l’impero romano nel periodo della sua espansione, crocevia di strade militari e commerciali e porto fluviale di straordinaria importanza, fu il faro culturale attraverso il quale gli influssi dell’Italia settentrionale si propagarono nei Balcani. E viceversa. Porta a Oriente e da Oriente. Da qui, nel tardo impero, partiva l’antica strada militare e commerciale che la collegava a Singidunum, l’odierna Belgrado, per poi giungere alle sponde del Mar Nero fino a Costantinopoli.

«In Serbia, annota Tiussi, la prima città a cui si pensa come matrice della romanità è Aquileia: non è un caso dunque che capolavori di questa fattura varchino i confini balcanici, per la prima volta». E non è nemmeno un caso che sul calco della Colonna traiana (del 1861, restaurato ad Aquileia) vi sia incisa l’allegoria del Danubio, un dio con la barba sgocciolante, una canna acquatica come corona. Sulle sponde i forti romani e, accanto a lui, una barca con alcune botti (e non anfore, una delle innumerevoli chicche della mostra).

Si sale al primo piano, e non sai dove posare gli occhi. Si inizia da tre splendidi elmi da parata. Uno di questi, dorato e tempestato di elementi in pasta vitrea multicolore a imitazione delle pietre dure, è un assoluto capolavoro della metallurgia. Perché Roma, potenza militare, sapeva coltivare pure uno splendore cerimoniale. Anche gli elmi con maschera, raffinatissimi, facevano parte dell’equipaggiamento da parata dei soldati romani. La presenza di legionari in servizio lungo il Danubio è testimoniata dai diplomi militari consegnati al momento del congedo dopo un periodo di servizio lunghissimo, da 24 a 28 anni. Se ne contano circa 600 in tutto l’impero: il più antico, rinvenuto a Veliki Gradac (Taliata), fu rilasciato il 28 aprile del 75 d. C. Ed è là, in bacheca. «Entravi in servizio a 21 anni e ne uscivi decrepito a 45 – fa notare Tiussi – . Ma per i non romani era un tesoro: valeva la cittadinanza, ed era trasmissibile a moglie e figli. In più, dava legittimità al matrimonio. Però “regolarizzava” solo una delle mogli, in caso di poligamia».

L’ascesa al potere di Diocleziano coincide con la rivoluzione-tetrarchia: due imperatori (lui a governare l’Oriente e Massimiano, di Sirmium, l’Occidente) e due Cesari (Galerio e Costanzo), subalterni, cui saranno affidate le redini dell’impero dopo l’abdicazione dei primi. E il numero di ville imperiali “esplode”. La più magnifica è quella di Galerio, dedicata a Romula, sua madre. Dalla Felix Romuliana proviene, ad esempio, il gruppo della Vittoria che incorona Galerio e Severo, in porfido rosso egizio, simbolo di dignità e rango imperiali. I due tetrarchi si appoggiano l’un l’altro la mano sulla spalla (la concordia). Simbolo di prontezza, invece, la spada al fianco. Insomma, concordia sì ma armata: se mi tradisci, non esiterò a usare la spada contro di te. La tetrarchia dura poco: dal 293 al 306, quando Costantino reclama il diritto di successione e il sistema va in crisi (crollerà nel 324). Costantino fissa a Sremska Mitrovica una delle quattro capitali dell’impero. Palazzo da sogno e circo, uno dei più grandi del mondo romano. L’abbinamento palazzo-circo è testimoniato anche a Milano e ad Aquileia. I legami che uniscono Costantino ad Aquileia sono degni di una soap opera: Costantino (la cui testa di bronzo in mostra è tra le più importanti della ritrattistica) nel 325 uccide la prima moglie, Minervina, e il figlio di primo letto, Crispo. Ma ad Aquileia viene celebrato il loro fidanzamento dipinto – o mosaicato – all’interno dell’ipotizzato palazzo imperiale. In seconde nozze sposa Fausta, che gli dona un elmo. Pare che gli elmi che vedete a palazzo Meizlik abbiano preso spunto dal dono della futura moglie.

E poi c’è lui, porzione triangolare di un cammeo con una scena di battaglia: probabilmente è Costantino a cavallo, con la lancia alzata e puntata verso il nemico che giace a terra, vinto. Una meravigliosa opera di propaganda su pietra dura. Quello che ancora vi aspetta sono bracciali, fibbie, un pettorale di armatura da parata, eleganti piatti in argento dedicati all’imperatore Licinio, stilosissimi cucchiai ovali, sculture in marmo, rilievi del dio Mitra (vi dice nulla la Grotta del Mitreo di Duino, vicino alle risorgive del Timavo?): la sua lotta con il toro significa salvezza e rigenerazione. Il sangue dell’animale inonda il mondo e lo rigenera, come quello di Cristo. Insomma, il più ricco e antico patrimonio culturale sul territorio serbo è quello lasciato dall’impero romano. Ma prima di progettare un tour nell’Illirico visitate questa mostra,

che rimarrà aperta fino al 3 giugno (9-18 dal lunedì al venerdì, 9-19 il sabato e la domenica). Tutti i venerdì alle 18, visite a porte chiuse con il direttore: basta prenotarsi scrivendo a ufficiostampa@fondazioneaquileia.it. Non ve ne pentirete.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

26 aprile 2018

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