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“Noi come Armando e la Pimpa”

AQUILEIA

Stanno insieme da quasi cinquant’anni, Mara Chaves e Francesco Tullio Altan. Estroversa, morbida, ridanciana Mara, con la sua fluente parlata brasileira; riservato ed essenziale Checco, amante della sintesi nella vita come nelle vignette. Lui è il più geniale tra i disegnatori italiani, lei una maestra nell’arte delle piume. E una recente mostra ha intrecciato le regali maschere piumate di Mara con il bestiario buffo di Checco, in un trionfo di pennuta fantasia che ci introduce nel castello degli Altan. Un’antica casa rurale immersa nel verde. Il giardino è nitido e ordinato come quello della Pimpa, anche le farfalle e le nuvolette sembrano disegnate dall’artista. Mara siede in una poltrona bianca dall’alto schienale bordato di ocra, che riprende il colore dell’ampia veste di lino: maestosa, solare, gli zigomi larghi e le labbra carnose delle magnifiche donne di Altan. Non è stata bene negli ultimi tempi, così Checco si affanna premuroso intorno a lei. Sposta il tavolino, poi la sedia, studiando il vento per evitare che il fumo della sigaretta possa darle fastidio. E quando realizza che la sua nuova posizione è incompatibile con il registratore poggiato sul tavolino sembra illuminarsi di felicità: «Tanto io mi sposto subito, è una cosa tra voi». «No, meu amor. Non mi far fare la vedova».

Mara: «Sono quarantasette anni che siamo insieme. E non ci siamo mai separati».

Francesco: «Sì, ma non dirlo con quella tristezza».

M ( ride e cerca un tono più energico): «Tutto è cominciato a Rio de Janeiro nel 1969. Era la stagione del cinema nôvo brasiliano, Checco stava preparando un film visionario, Tatu Bola, e aveva bisogno di una costumista ».

F: «Mi colpì il suo atteggiamento, molto sicuro. “Questo io lo faccio con le mani dietro la schiena”. Lo disse senza arroganza, con la serenità di chi sa cosa sa fare. “Va bene, assunta”».

M: «No, per me non fu un amore a prima vista. Anche perché ti vedevo poco, Checco. Tra barba scura, baffoni e una cascata di capelli… Se fu lui a scegliere me? Difficile dirlo».

F: «Beh, io ti ho assunta».

M: «Forse perché ero spontanea? O perché ero bella?».

F: «Bella sì, molto».

M: «Restai avvolta dai suoi modi gentili e delicati. Premuroso, mai aggressivo. Più tardi mi sarei accorta della sua malinconia: cominciammo a parlare dei suoi problemi in una crescente intimità fatta di tenerezza. Allora lì sono cascata».

F: «E mandasti il telegramma al tuo fidanzato».

M: «Sì, poche righe: “Mi spiace, mi sono innamorata di un altro”. Con Checco non andammo subito a vivere insieme, ma quando accadde fu la felicità. Lui era fissato con il disegno, senza fermarsi, soprattutto di notte. Era come se volesse liberarsi dei suoi fantasmi».

F: «Era l’unica cosa che sapevo fare e volevo fare».

M: «Cominciasti a disegnare cose molto colorate, aprendoti a un mondo rigoglioso e variopinto. Immagini tropicali di fiori e foglie, bestiari fantastici».

F: «Era l’incontro con il Brasile. E l’incontro con te. Mi liberavo dall’Italia turbolenta, confusa e politicamente divisa. In Brasile era tutto più semplice. C’era una dittatura e si sapeva da che parte stare».

M: «E poi avevamo molte cose pratiche da risolvere. Nacque la Chicca, che ti mise di fronte a una grande responsabilità».

F: «Sì, mi mise nei binari. Prima non avevo nessuna idea di futuro. Avevo la fissa che a ventisette anni sarei morto in una pescheria di Amsterdam».

M: «Checco parlava così poco che solo dopo la nascita della Chicca ho scoperto che aveva un padre, una madre e le sorelle».

F: «No, non avevo tagliato con la mia famiglia, tutt’altro. Solo che ci sentivamo poco».

M: «Sia io che lui avevamo preso delle strade molto diverse da quelle dei genitori. La mia era una famiglia di fazendeiros, tutta “tradizione e proprietà”. Ti ricordi Checco come mi chiamava tuo padre? Anarchica feudale».

F: «Non si può dire che mio padre fosse un borghesone ( ndr Carlo Tullio- Altan, grande antropologo culturale, partigiano azionista). Ma certo il fatto che non mi fossi laureato qualche preoccupazione l’aveva destata. Poi la mia era una famiglia di separati, mio padre era andato via di casa quando avevo otto anni. E allora le separazioni pesavano».

M: «Sono stata io a rimettere insieme i tuoi genitori a tavola, dopo secoli che non si parlavano. Proprio in questa casa».

F: «Venimmo a vivere ad Aquileia dopo un breve e infelice passaggio a Milano. Abitavamo a Baggio, Mara la mattina portava la Chicca all’asilo attraversando la nebbia e campi di zingari. Un giorno la trovai con le valigie pronte: “Io qui non ci sto più”».

M: «Sì, non era per me».

F: «Mi spaventai non poco. E mi venne in mente questa grande casa friulana di mio nonno…».

M: «All’inizio della nostra vita in campagna i tuoi silenzi mi annoiavano mortalmente».

F: « Uhmm».

M: «Scherzo. La verità è che io e Checco parliamo abbastanza. Ho l’impressione che abbia sempre la paura di eccedere, di dire più sciocchezze del necessario».

F: «Basta non superare la modica quantità».

M: «Penso che i tuoi silenzi nascano da tuo padre, che è stato molto esigente. Ti ricordi quando veniva a cena con la scaletta degli argomenti da trattare?».

F: «Beh insomma non era così frequente questa cosa. Certo, lui trattava gli argomenti in modo sistematico. I miei procedimenti mentali sono diversi. Se con lui mi sentivo sotto esame? Un po’, forse. Però poi ho scelto la mia strada, e lui era orgoglioso».

M: «Anche io amo il tuo lavoro, soprattutto i personaggi infantili, tutto il mondo della Pimpa. Anche perché in Armando ritrovo Checco. Lui nella vita è così, delizioso, delicato, rispettoso degli altri, mai volgare. E mai cinico. Tutta un’altra persona dal mondo adulto che ritrae nella sua impietosa brutalità».

F: «La prima volta che provai a conquistarla con un mio disegno, sfiorammo la rottura. Ritrassi un omino piccolo e brutto, in mano aveva un uovo. Mara non capì e si arrabbiò moltissimo».

M: «Eppure adoravo il tuo umorismo nero».

F: «Ma non bisogna sempre capire tutto. Anche perché conoscersi fino in fondo può essere pericoloso. Finisci per fare scoperte che non dovevi fare».

M: «Un po’ di mistero deve restare. Anche in una coppia molto collaudata. Recentemente sono stata ricoverata in clinica e Checco mi è stato vicino in un modo che mi ha commosso. Quando si doveva allontanare solo per poche ore, mi telefonava da fuori. “Mi manchi”. Anche lui mi mancava ».

Lui annuisce un po’ imbarazzato, proprio come farebbe l’Armando.

Simonetta Fiori

©RIPRODUZIONE RISERVATA

15 luglio 2016

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