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Io e Margherita Hack abbiamo sbugiardato chi crede negli alieni

Il giornalista e scrittore sarà ospite domani nella prima serata dell’Aquileia Festival

di Simona Regina

Ritorna l’Aquileia Film Festival, la rassegna del cinema archeologico (organizzata dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con il Comune, la Rassegna di Rovereto e la rivista “Archeologia Viva”) che, fino a venerdì, trasformerà la piazza della maestosa basilica dei Patriarchi in un palcoscenico all’aperto per i protagonisti dell’archeologia e della divulgazione scientifica.

Aprirà la tregiorni dedicata alla proiezione di documentari (alle 21) il giornalista e scrittore Viviano Domenici, storica firma del “Corriere della Sera”, per 26 anni responsabile delle pagine di scienza del quotidiano di via Solferino e grande appassionato di archeologia.

«Da ragazzino ero convinto che da grande avrei fatto l’esploratore, l’archeologo oppure il pittore» racconta. In realtà, dopo aver iniziato a collaborare come disegnatore con la “Domenica del Corriere”, sul finire degli anni Sessanta è passato alla redazione giornalistica, e dal 1981 in poi come inviato ha fatto più volte il giro del mondo, seguendo esploratori e archeologi alla ricerca di tribù isolate e di testimonianze di civiltà scomparse da millenni, per scovare storie affascinanti da documentare e raccontare. La prima volta è partito a seguito di una spedizione archeologica impegnata nello scavo di una città maya in Centroamerica.

Poi, dalle Americhe alla Polinesia, dall’Asia all’Africa, non ha più smesso i panni del giornalista esploratore. Suggestivi i suoi reportage, come per esempio quelli raccolti nel libro “A cena coi cannibali” (De Agostini), che accompagnano i lettori tra i pigmei cannibali dell’Irian Jaya, tra le grandi statue dell’Isola di Pasqua, nelle capanne degli indios Yanomami, tra i Boscimani che vivono tra le sabbie del Kalahari, e nella straordinaria galleria d’arte preistorica nascosta tra le rocce dell’Australia. Il suo ultimo libro, “C’è qualcuno là fuori? Alla ricerca della vita extraterrestre. Le indagini della scienza e gli inganni della fantarcheologia” (Sperling & Kupfer), è il frutto del lavoro a quattro mani con Margherita Hack, l’astrofisica fiorentina di nascita ma triestina di adozione scomparsa l’anno scorso, all’età di 91 anni.

«Una donna di straordinaria statura e straordinaria semplicità. Era un fiume in piena, una paladina della razionalità» racconta Domenici, ricordando la lunga collaborazione nata sulle pagine di Corriere Scienza e la profonda stima reciproca. «È stato un privilegio, una vera fortuna, lavorare con lei».

Com’è nata l’idea di smontare in un libro i falsi miti sugli alieni?

«Avevamo già scritto insieme il libro “Notte di stelle”, che tocca l’astronomia e l’archeologia, la scienza e il mito. Puntualmente, a ogni presentazione, non mancavano domande del pubblico sull’esistenza degli extraterrestri. Margherita spiegava che è del tutto probabile che ci siano altre forme di vita in altri pianeti, ma che non avremo mai modo di incontrare un extraterrestre, perché le distanze, invalicabili, non ce lo permettono. E l’idea, dunque, che in passato ci siano sta. ti incontri ravvicinati è scientificamente inverosimile. E a chi sottolineava che però non mancano testimonianze che provano l’avvenuta relazione con gli alieni, io ribadivo che in realtà il nostro passato non ci fornisce affatto alcuna prova. Così abbiamo deciso di raccontare in un libro le sfide della ricerca scientifica finalizzate a scoprire altre forme di vita nell’Universo e svelare gli inganni della fantarcheolgia: delle bischerate, secondo Margherita. Fantasie basate sul nulla. Bufale, belle e buone».

Non c’è, dunque, lo zampino degli alieni nelle Linee di Nazca in Perù?

«I geoglifi nel deserto di Nazca, le linee tracciate sul terreno, non sono affatto i segni dell’atterraggio di astronavi aliene, ma sentieri di preghiera che riproducono la figura delle divinità della pioggia che le popolazioni del deserto invocavano affinchè piovesse. Maestri nella realizzazione di tessuti di fattezze straordinarie, partivano dai disegni fatti su stoffa e li riproducevano poi in dimensioni gigantesche facendo la quadrettatura del terreno e spostando le pietre superficiali. Quando mi si fa notare che così tolgo fascino sull’origine di questi geoglifi, mi piace sottolineare invece che in realtà la spiegazione degli archeologi, supportata da una quantità di prove, è molto affascinante».

E per quanto riguarda la costruzione delle piramidi?

«Non ci sono prove neppure sul presunto aiuto di alieni nel realizzare di grandi opere del passato. Anzi. Una maggiore conoscenza delle antiche civiltà non ci farebbe meravigliare dell’imponenza delle loro costruzioni e invocare il miracolo degli alieni. Le piramidi sono infatti la testimonianza e la prova della raffinata tecnologia messa in atto dagli Egizi e dai Maya. Tra l’altro la piramide è la forma geometrica più efficace per accatastare materiale, ragione per cui è diffusa in tutto il pianeta. Insomma, un’attenta interpretazione archeologica smonta i falsi miti».

“La guerra dei mondi”, lo sceneggiato radiofonico diretto da Orson Welles, nel 1938 scatenò il panico descrivendo un’invasione aliena. Cinema, letteratura, arte hanno alimentato la speranza di incontri ravvicinati tra umani ed extraterrestri?

«Assolutamente sì, ma non è un fenomeno solo moderno. In fondo, la figura dell’extraterrestre accompagna da sempre la storia dell’umanità: già i Babilonesi immaginavano esseri che vivono nello spazio. Espressione del desiderio di non essere soli nell’Universo».

Dai falsi miti sugli alieni alle bufale scientifiche che corrono fuori e dentro la rete: cure miracolose, scie chimiche, vaccini pericolosi. Come difendersi dalla pseudoscienza?

«È indispensabile una sana dose di scetticismo, sia per i giornalisti sia per i lettori. Prima di credere a una notizia e diffonderla bisogna fermarsi, verificarla con il supporto degli esperti, senza strizzare l’occhio pur di vendere tre copie in più. Quando ero responsabile dell’inserto scientifico del “Corriere” riuscii, con grande fatica, a convincere il direttore a non pubblicare alla cieca notizie di presunte cure se non frutto del lavoro di istituti di ricerca seri. I media hanno una responsabilità gravissima nel fare cassa di risonanza a ciarlatani e falsi guaritori. E le trasmissioni tivù che danno spazio a bufale apparentemente innocue, in realtà inquinano la mente e allevano generazioni di persone a un pensiero irrazionale. Spacciare come vere notizie infondate, false, è pericoloso».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

22 luglio 2014

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