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Aquileia, nel Sepolcreto spuntano altre 87 tombe

Non solo resti umani ma anche oggetti tra cui anfore e calzari. Nuovo impianto d’illuminazione per visite notturne

di Elisa Michellut

AQUILEIA. Ancora importanti scoperte nella città romana, che regala altri ritrovamenti eccezionali. Nel Sepolcreto di Aquileia, l’unico tratto di necropoli romana in situ e ancora visibile nell’antica città, peraltro uno dei meglio conservati nell’Italia settentrionale, sono state riportate alla luce ben 87 tombe.

Gli scavi sono stati condotti dalla Fondazione Aquileia con la supervisione della Soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia.

E’ stato possibile riportare all’antico splendore cinque recinti, appartenuti ad altrettante famiglie, e i monumenti funerari scavati da Giovanni Brusin tra il 1939 e il 1940.

«L’intervento è stato piuttosto articolato – spiega l’archeologo e direttore della Fondazione Aquileia Cristiano Tiussi -. Sono state realizzate le strutture di contenimento delle alte scarpate e la sostituzione dei drenaggi, per porre rimedio ai periodici allagamenti dell’area.

E’ stata effettuata anche la pulizia e il consolidamento dei monumenti e dei muri dei recinti. La fase successiva dei lavori ha riguardato la sistemazione delle zone interne, dove esisteva la possibilità, poi confermata, che vi fossero ulteriori tombe antiche a cremazione e ad inumazione. E’ stato così intrapreso un interessante scavo archeologico delle sepolture.

L’area del Sepolcreto non è mai stata chiusa ai visitatori, che hanno potuto seguire le varie fasi dell’intervento di scavo e di restauro e che ora possono agevolmente riconoscere le parti originali dei monumenti e quelle ricostruite negli anni ‘40.

Infine, è stato eseguito l’impianto di illuminazione, che permette la suggestiva visita notturna al complesso».

Paola Ventura, archeologo funzionario di zona della Soprintendenza, aggiunge: «La prima fase dei lavori ha permesso di riconoscere i livelli raggiunti dagli scavi precedenti. Si è chiarito che il sepolcreto, nella sua lunga durata (dal I al III secolo d.C.) ha visto diversi mutamenti nei piani d’uso, che si impostano su un riporto, probabilmente con funzione di bonifica.

E’ interessante notare le sovrapposizioni delle diverse tipologie tombali, ma anche l’utilizzo di anfore come segnacoli o apprestamenti per libagioni. Le analisi paleobotaniche permetteranno di avere qualche elemento in più per ricostruire l’aspetto interno dei recinti.

Le tombe di nuova individuazione sono costituite da 28 inumazioni (di cui una doppia), per lo più in fossa (ma con evidenza della presenza di casse lignee) o in cassa litica o di laterizi.

L’analisi antropologica ha evidenziato la presenza di un feto e di una deposizione prona. In alcuni casi sono stati rinvenuti resti dei calzari. Per le incinerazioni (con i resti deposti in cassetta, anfora, olla litica o fittile o in vetro) si è proceduto al loro recupero per lo scavo in laboratorio dei corredi interni, con elementi talvolta perfettamente integri».

Ventura riferisce che un dato di eccezionale interesse, infine, è emerso dal recinto II: ceramiche e resti ossei animali, probabilmente testimonianza dei riti che venivano svolti nelle aree funerarie.

26 agosto 2016

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine