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Bersani: Serracchiani può unire il Pd

Parla l’ex segretario Dem. “Debora può mediare tra noi e Renzi: ha i numeri per fare sintesi, dipende da lei”. La legge elettorale? “Così non la voto”.

di Domenico Pecile

UDINE. Sta salendo in treno alla stazione di Bologna. «Sto andando a Padova alla presentazione del libro che parla delle lettere tra Berlinguer e monsignor Bettazzi. Altri tempi…», sussurra al telefono Pier Luigi Bersani, presidente della Regione Emilia-Romagna tra il 1993 e il 1996, ministro dell’Industria nei governi Prodi I e D’Alema I, ministro dei Trasporti nei governi D’Alema II e Amato II, ministro dello Sviluppo Economico nel Prodi II. Bersani è stato anche il leader della coalizione di centrosinistra alle elezioni politiche 2013 dopo la vittoria alle primarie del 2012. Oggi davvero per lui e per il Pd sono altri tempi. Il rapporto con il premier è spigoloso, difficile («ma non ho mai pensato di andarmene»), ma lui si dice convinto che il modello seguito per eleggere Sergio Mattarella a Capo dello Stato sia quello giusto («il Pd ce la fa anche senza Berlusconi»). Ma bisogna trovare un mediatore. E lui lo intravede in Debora Serracchiani.

Credo si possa partire parlando dell’ultimo voto alla Camera sulla riforma costituzionale.

«Bene. E dico subito che sto chiedendo di modificare questo percorso. La combinazione tra legge costituzionale e riforma elettorale ci consegna un risultato inaccettabile».

Non è accettabile per quale motivo?

«Perché non accetto l’idea di avere un Senato non elettivo e una Camera con meccanismo maggioritario per il 60 per cento di deputati nominati che, per i partiti che non vincono, diventa del 100 per cento. E non si sa neppure chi li nominerà e come decideranno i partiti visto che non c’è neppure una norma su questi ultimi».

Facciamo che sia tutto così. Ma il percorso pare segnato, o no?

«Ribadisco che senza correzioni la legge elettorale non è votabile».

Ma Renzi può sempre fare di necessità virtù e cercare i voti altrove, come ha già fatto.

«Ciascuno si prende le proprie responsabilità. Non c’è nessuna necessità, su questo bisogna essere chiari. Come si è visto nel caso dell’elezione del presidente della Repubblica, se il Pd ragiona da Pd ha le forze per trovare la soluzione giusta».

Sta di fatto che l’attuale Pd è conflittuale, da muro contro muro. Non è che alla fine questo braccio di ferro porterà alla scissione?

«Per quanto mi riguarda lo escludo. Il Pd è il mio partito, è casa mia. Ma quando si parla di grandi partiti bisogna mettere in preventivo sensibilità diverse».

E il compito del segretario?

«Dovrebbe essere quello di fare sintesi».

Usa il condizionale e non credo sia un lapsus. Non è che sta pensando che Renzi ha in mente un altro progetto?

«Voglio credere proprio di no».

Però il Patto del Nazareno…

«L’ho sempre criticato perché prevedevo che una situazione ambigua avrebbe favorito – com’è accaduto – alcuni elementi regressivi».

E quali sarebbero?

«Un sistema deve vivere con due polmoni. Se ne metti in mezzo uno solo, ai lati possono emergere posizioni regressive, come quella di Salvini».

Dunque, quel Patto ha innescato Salvini?

«Certamente, perché qualcuno l’opposizione la deve fare. Ma la deve fare una forza europea di centrodestra. E se non la possono fare i Berlusconi o i Verdini, la fanno i Salvini. Certo, il Matteo leghista è più facile da battere ma si creano tossine».

E cosa bisogna fare per stoppare questa deriva?

«Bisogna tornare a una fisiologia democratica. Non va dimenticato che nel 2013 il Pd ha vinto le elezioni. Berlusconi non è indispensabile per governare; deve fare l’oppositore».

A proposito di Berlusconi, dopo la sentenza dell’altro ieri si chiude un capitolo. Lei cosa ne pensa?

«Dico quello che ho sempre detto. E cioè che le vicende giudiziarie appartengono ai magistrati. E che chi ha giurato sulla Costituzione dovrebbe sapere che le funzioni pubbliche vanno svolte con disciplina e onore. Adesso Berlusconi tornerà in campo con un compito molto arduo».

Quale?

«Quello di dare una mano a riorganizzare il centrodestra riportandolo sulla strada giusta».

Ma non è che il vostro di Matteo voglia vincere facile e quindi sia più interessato ad avere come avversario l’altro Matteo?

«Uno statista non ragiona così».

E come ragiona?

«L’obiettivo non è vincere; l’obiettivo è l’Italia. Pensare soltanto a vincere e fare emergere posizioni alla Le Pen non mi parrebbe una scelta strategica».

Bersani, sia sincero: per uno come lei che trasuda storia della sinistra rincorrere e rintuzzare sempre il premier non è frustrante?

«La premessa è che l’agenda la detta chi governa. Certo, in questo momento non c’è molto da divertirsi. Ribadisco che il caso dell’elezione del presidente della Repubblica dimostra che potremmo fare cose buone. Ma ci vuole disponibilità a ragionare in casa nostra».

Facciamo un salto indietro di alcuni anni. Alle primarie del 2012 Serracchiani votò per lei. Ora è vice di Renzi.

«Io sono sempre lo stesso. Detto questo a me pare che stia facendo bene il suo lavoro di presidente di Regione dimostrando una grande volontà riformatrice come su sanità ed enti locali. Certo, ha davanti il problema della crisi economica, ma questo riguarda tutti».

Ma avendo presente il 2012 e la sua attuale posizione di vice di Renzi, non pensa che Serracchiani potrebbe avere un ruolo di mediatrice tra il premier e la minoranza del Pd?

«Credo che bisogna avere la volontà di discutere tra di noi sul serio. Non so se c’è bisogno di mediatori, però lei avrebbe le condizioni politiche per lavorare alla sintesi. Poi non so se ha l’attitudine e il carattere».

È rimasto in buoni rapporti?

«Sono in buoni rapporti con tutti. Mi molla però anche tanta gente perché non mi arrabbio».

Non si arrabbia neppure quando Renzi ascolta Verdini e non voi?

«Beh, questo non lo accetto nel senso che bisogna parlare con tutti, ma l’ultima parola non la si può dare agli altri».

Come immagina il Pd tra due anni?

«Spero si rimetta un pò a punto il modello del partito. So che anche Renzi ci sta riflettendo. Un partito non può essere semplicemente uno spazio politico. Ha bisogno anche di struttura e radicamento. Siamo un partito di iscritti ed elettori. Bisogna dire con più forza che in tutto il mondo i partiti sono strutturati e devono selezionare la classe dirigente. Anche perché il Pd è l’unico che si chiama partito».

Cos’ha di sinistra oggi il Pd?

«Ha dentro tanta gente di sinistra. Sarà il caso che questa gente non si disamori».

Ha mai pensato che ci sia un disegno politico per farla o farvi, come preferisce, disamorare?

«In effetti c’è qualcuno che ci dice “andate”. Io replico: vai via te».

Un’ultima domanda: qui in Fvg alcuni esponenti del Pd non vogliono rinunciare al vitalizio. Cosa pensa?

«Mi creda, di questa vicenda so nulla».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

13 marzo 2015

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