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La grande frenata irrompe all’assemblea dem regionale

Gli iscritti riuniti a Udine seguono la svolta. Segreteria nel mirino, la minoranza contesta ma non strappa. Prevale l’appello all’unità. Serracchiani assente per motivi personali

di Marco Ballico

Il capogruppo Pd alla Camera Ettore...

Il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato ieri sera all’assemblea regionale

UDINE. Non c’è troppa ansia di voto anticipato. Tanto meno di scissione: in Fvg, come emerso già in settimana, la minoranza del Pd contesta ma non strappa. Quello che invece emerge, ieri sera nell’assemblea dem a Udine in via Joppi, oltre all’appello all’unità, è la richiesta di un congresso regionale. Arriva non solo dai bersaniani, ma anche da qualche renziano.

La relazione di Antonella Grim riassume inizialmente quanto raccolto nelle ultime settimane di incontri con amministratori e segretari di circoli. «Serve un cambio di passo», ribadisce la segretaria confermando la volontà di «allargamento e rafforzamento degli organi di partito» (i nuovi nomi arriveranno a inizio prossima settimana) e annunciando, oltre alla verifica dell’impatto delle riforme della sanità e degli enti locali sul territorio, forum e tavoli tematici per lavorare sul programma regionale 2018.

Quindi i primi appelli al congresso. Di Carlo Pegorer, Franco Brussa, Renzo Liva, Mauro Travanut, pure di Francesco Russo. «Un congresso serve a riannodare il rapporto con i cittadini – dice il senatore triestino -, a ridefinire il profilo programmatico e culturale di un partito». Un congresso, avverte però Coppola, che non può essere utile se fissato sotto scadenza elettorale.

Ma sono proprio le notizie che arrivano da Roma sulla frenata su un possibile voto anticipato che alimentano la voglia di aprire una fase congressuale in cui dibattere di quello che è stato e di quello che sarà il Pd. Con Ettore Rosato che invita peraltro sin d’ora a «non continuare a buttare via i leader» e respinge lo spettro del passo indietro direzione Ds e Margherita: «Sarebbe buttare via vent’anni della nostra storia».

È un confronto quasi anestetizzato dall’impasse nazionale. Russo parla apertamente di «paralisi». Così come viene tenuta in sottofondo la mancata firma di tre dei quattro segretari provinciali (Trieste, Gorizia e Udine) sul documento antiscissionisti condiviso da 19 dei 21 segretari regionali Pd, Grim compresa, un gran rifiuto che ha creato non pochi mal di pancia.

Non manca invece chi critica la relazione introduttiva («Un’aspirina», Sonego) e chiede una volta ancora le dimissioni di Grim (per Brussa sarebbero dovute arrivare dopo le sconfitte alle amministrative, Travanut e Pegorer propongono la revisione dell’intera segreteria). Ma non è serata da emozioni forti. Un applauso convinto lo strappa più di altri il consigliere Liva, rivendicando con orgoglio le riforme approvate in aula, provvedimenti anche su povertà, commercio e chiusure festive «che appartengono culturalmente a questo partito».

Di Regione, in prospettiva 2018, si discute inevitabilmente. Debora Serracchiani non c’è (motivi strettamente personali, viene fatto sapere: tutti presenti invece gli assessori dem della giunta regionale), ma la presidente è nei pensieri di tutti. C’è chi, come Sonego, la accusa di «impedire la discussione su come Pd e coalizione si possono candidare alle regionali» e la invita, «dopo che ha sin qui anteposto la sua convenienza personale all’interesse generale», ad annunciare la ricandidatura.

E chi come Russo svela come nei corridoi si parli di election day e scioglimenti anticipati «che danno per certa la candidatura di Debora a Roma. Ormai è chiaro che non sarà la nostra candidata alle prossime regionali». L’alternativa? «Non vanno esclusi contributi esterni, uno schema Illy potrebbe fare al caso nostro». Sul tema Serracchiani sì o no, Rosato critica chi ha alimentato all’esterno una polemica prima del tempo.

Fibrillazioni contenute in un’assemblea che di fatto rinvia la resa dei conti. I più sostengono l’importanza di privilegiare il ragionamento del congresso nazionale in alternativa a elezioni subito. E c’è chi ragiona sul fatto che il voto posticipato a Roma porterebbe a scadenza naturale anche la legislatura in Regione. Dando più tempo al partito per spiegare – e fare accettare meglio – riforme complesse. E organizzarsi.

«Un partito al governo e con 400 parlamentari che mantenga un minimo di intelligenza politica va a votare se serve al Paese e se ha qualche ragionevole possibilità di vittoria – dice Russo -, ma nessuno può raggiungere la maggioranza a giugno. A Debora e Ettore, per il ruolo che hanno, consiglierei un po’ di prudenza rispetto a una prospettiva che in tanti, anche tra noi, pensano azzardata».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

04 febbraio 2017

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