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Dall’analisi del flop all’Opa sulla segreteria. Debora cambia rotta

Post sui social e lettera a Repubblica. Serracchiani punta ormai apertamente ai piani alti del partito. «Primarie? Potrei esserci»

di Diego D’Amelio

Debora Serracchiani all’arrivo in...

Debora Serracchiani all’arrivo in piazza Montecitorio

TRIESTE. «Quando ci saranno le primarie nel Pd, prenderò in considerazione l’ipotesi di candidarmi». È Debora Serracchiani in persona ad avvalorare ieri in un’intervista a Radio 1 lo scenario che da alcuni giorni la vedrebbe intenzionata a subentrare a Matteo Renzi alla guida di un Partito democratico in crisi dopo il fallimento della riforma costituzionale, la sconfitta alle politiche e le dimissioni del segretario. Che qualcosa si muova attorno all’ex presidente del Friuli Venezia Giulia, lo dice la stampa nazionale, che la settimana scorsa ha parlato della tentazione di una parte dei renziani di portarla alla segreteria. Cosa avverrà nel Pd nei prossimi mesi è difficile prevedere: di certo c’è solo la convocazione dell’assemblea nazionale del 21 aprile, che prenderà atto del passo indietro di Renzi ed eleggerà il nuovo segretario o convocherà il congresso anticipato. L’eventualità più accreditata è per ora la designazione di un segretario di transizione, che accompagni il partito alle primarie nel 2019.

E se il reggente Maurizio Martina ha già annunciato la sua candidatura, sostenuto fra gli altri da Dario Franceschini, Serracchiani ha cominciato a muoversi per guadagnare uno spazio centrale nel partito che verrà. L’ex vicesegretaria guarda infatti più lontano dell’assemblea, perché nel suo coming out parla di primarie e dunque sottopone la propria disponibilità all’apertura della fase congressuale, dandosi così il tempo per capire se il proprio nome potrà aggregare il consenso di dirigenti e base.

La confusione sotto il cielo democratico è molta: la neodeputata non vuole bruciarsi e punta intanto a partecipare al dibattito sulla crisi del Pd, partendo da un’autocritica che tocca le ragioni profonde della sconfitta e dunque le basi del rilancio dopo il fallimento della strategia renziana. Il mantra è “cambiare rotta” e l’ultimo intervento risale a ieri, quando Repubblica ha pubblicato una lunga lettera inviata al direttore Mario Calabresi. Nella missiva c’è il “che fare” del Serracchiani pensiero, ma soprattutto una presa di distanza dalla gestione renziana del partito.

«C’è stato un momento – scrive la parlamentare – in cui è sembrato che il Pd fosse la speranza di qualcosa di nuovo. Quel sogno si è infranto sugli scogli delle riforme istituzionali». È il riconoscimento di un errore madornale sui tempi della proposta dem e in politica, si sa, il tempismo è tutto: «Per quanto giusti e nobili potessero essere i moventi che ci spingevano – spiega Serracchiani – mentre si alzava la marea degli sbarchi e non calava l’incertezza del lavoro, l’impegno ad abolire il Senato non poteva essere la risposta. Credo sia cominciato lì uno scollamento con cui dobbiamo fare i conti».

Nessun tentativo di sottrarsi alla responsabilità di aver a propria volta sostenuto con convinzione il processo di riforma, ma lo smarcamento è indiscutibile, seppur condotto rivendicando nel contempo i frutti di una legislatura che ha visto varare «leggi utili alla ripresa del Paese e fondamentali per i diritti dell’individuo». Ciò non esime tuttavia dall’«analizzare dove abbiamo sbagliato».

Ma intanto ci sono le necessità dell’oggi e il Pd non può evitare di giocare un ruolo nella legislatura che si sta aprendo perché, nonostante il 19% raccolto il 4 marzo, «il secondo partito italiano ha il dovere di fare politica». E questo oggi per Serracchiani significa anzitutto respingere ogni tentazione di alleanza con il Movimento 5 Stelle: «Un movimento oligarchico che vorrebbe usarci come sponda per raggiungere più comodamente lo scopo finale dell’accordo con la destra. Diciamolo chiaro: non ci stiamo. Nessuno di noi pensa di governare con coloro che hanno venduto promesse di impossibile assistenzialismo o concepito l’Europa come il nemico da abbattere».

Serracchiani chiede ora al partito di «cambiare rotta, perché il Pd ha bisogno di un nuovo inizio, che dobbiamo cominciare a costruire subito, tenendo sempre la bussola orientata sui valori e sui contenuti. Ci aspettano intanto appuntamenti elettorali difficili (le prossime amministrative, ndr). Se veti, correnti o ambizioni personali impedissero al Pd di rimettersi in discussione e di saper ascoltare la società italiana, ci aspetterebbe una via amara, quella del declino e della sconfitta definitiva». Pochi giorni fa aveva d’altronde scritto su Facebook che «milioni di elettori, che già ci avevano votato, si sono sentiti meglio garantiti da altri. Progressivamente, come classe dirigente, ci siamo slegati dal corpo vivo, sofferente e impaurito del Paese. Ci aspetta un lungo e doloroso viaggio, alla ricerca di un’identità perduta».

Dalla delusione per il risultato generale delle politiche e per la pesante sconfitta personale nel collegio di Trieste, anticipati da due anni di disfatte elettorali del Pd in Fvg, Serracchiani passa insomma al mea culpa ma comincia allo stesso tempo a covare quel desiderio di rivalsa che potrebbe spingerla a tentare la via della segreteria nazionale. In attesa di definire il perimetro del suo impegno alla Camera, l’ex governatrice dovrà tornare a far brillare il proprio astro dopo aver preso le distanze dal renzismo ed essersi successivamente scontrata con Renzi al momento della costruzione delle candidature, che l’hanno vista entrare in parlamento solo grazie al sistema di resti del proporzionale. Conteranno allora i rapporti costruiti al di fuori del “giglio magico” e, a quelli mai venuti meno con Franceschini, si sommano le strette relazioni con Graziano Delrio, oggi fra gli esponenti di maggior peso del Partito democratico.

06 aprile 2018

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